Cacopardo Domenico - 2013 - Agrò e il maresciallo La Ronda by Cacopardo Domenico

Cacopardo Domenico - 2013 - Agrò e il maresciallo La Ronda by Cacopardo Domenico

autore:Cacopardo Domenico [Cacopardo Domenico]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
Tags: Fiction, Thrillers, General
ISBN: 9788831734424
Google: JJmszlwiTSsC
Amazon: B00AWVTCEW
editore: Marsilio
pubblicato: 2013-01-02T23:00:00+00:00


13.

A piedi scalzi in riva al fiume Agrò

Si baciarono a lungo, Italo e Irene, prima di prendere la Fulvia di don Tommasino e di inoltrarsi sulla pista – impossibile definirla strada – in terra battuta che risaliva il greto del torrente Agrò.

L’idea che su quella trazzera era stata ritrovata la 128 di Biagio Mudaita aveva seguito il giovane come un’ossessione segreta. Com’era accaduto per la Focetta. Per lui, il percorrerla di notte con Nenè significava la ricerca di un qualche segno, un indizio sfuggito a tutti, e, allo stesso tempo, la rimozione di un pensiero che non lo lasciava un minuto. Appunto: una persecuzione causata dal coinvolgimento nelle indagini. Se non l’avesse fatto, gli sarebbe per sempre rimasta l’idea di una colpevole omissione. Sapeva d’essere entrato nel meccanismo investigativo e non accettava di trascurare un passaggio che gli era balenato, sempre più insistente, nella mente.

La Fulvia andava a passo d’uomo.

Dopo una curva, nella strada pietrosa scorsero la basilica bizantina dei Santissimi Pietro e Paolo e, sulla destra, un cespuglio molto rovinato. Nel fascio di luce dei fari, si vedeva benissimo come uomini, automobili e qualcosa di più grosso, magari un carro attrezzi, avessero distrutto il groviglio di piante selvatiche che lo costituiva. Si notava anche che, sul retro, lato monte, c’era uno spazio libero utilizzabile, prima del disfacimento del cespuglio, per sostare in auto al riparo da occhi indiscreti. Chissà quanti ragazzi l’avevano usato come luogo del loro amore.

Decise di non fermarsi e di proseguire: difficilmente avrebbe potuto cogliere, a quell’ora, un elemento sfuggito agli inquirenti.

Dopo qualche chilometro, sul margine di un’ansa, lui arrestò l’auto e spense il motore.

Italo e Irene rimasero così qualche attimo in silenzio, scoprendo che il chiarore della notte era ancora discreto, dato che la luna non era ancora del tutto tramontata.

Scesero dalla Fulvia e, guardando bene in terra, raggiunsero il greto del torrente. «Ma qui, acqua c’è!» esclamò Irene.

«Certo, siamo nell’alveo di un fiume. Cosa vorresti trovare?».

Si levarono le scarpe e presero a passeggiare, allacciati l’uno all’altra, là dove proprio batteva quella sottile lama d’acqua estiva, un presagio d’autunno manifestatosi nel torrente Agrò.

La luna impallidì tra i monti Peloritani. In lontananza, su, in montagna, si vedevano le flebili luci dell’illuminazione pubblica di Limina.

«Non ho paura, Italo. Ma stiamo cercando qualche cosa?»

«No. Stiamo vivendo insieme un attimo magico, così mi sembra, qui in questo luogo deserto, come inesplorato. Sì. Mi pare proprio inesplorato. Ci venivo da ragazzo con mio zio, a pescare ‘nciddi.»

«Che cosa?»

«‘Nciddi, anguille, Nenè. Non lo sapevi che qui nel fiume si possono pescare piccole anguille?»

«No. Non l’ho mai mangiate e non lo sapevo che ce n’erano anche qui nella nostra fiumara.»

Arrivarono alla fine dell’ansa. Qui il fiume volgeva verso Catania, avvicinandosi ai resti di una fortificazione costruita dai monaci basiliani sulla sponda opposta alla basilica che s’erano lasciati dietro poco prima.

In quel punto, il ghiaione dell’alveo terminava, lasciando il passo alle rocce.

«Un’estate grande, perché ci sei tu» e, nel dirgli queste parole amorose, la ragazza gli si pose di fronte e lo baciò.

Italo,



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